episteme
  la ragione è un’isola piccolissima nello sfondo dell’irrazionalità
 


 

Domenico Fauceglia

 

la ragione è
un’isola piccolissima
nello sfondo dell’irrazionalità

Platone nella Repubblica delinea la dottrina dell’anima fondata in tre parti (o facoltà) necessaria a spiegare come mai l’anima possa provare passioni contraddittorie: vi è una parte razionale (logistikòn) destinata al comando e la cui virtù è la sapienza, una parte animosa (thymoeidès) incline ad aiutare la parte razionale e la cui virtù è il coraggio e infine una parte appetitivi (epithymetikòn) che è la parte ribelle e insofferente ai dettami della ragione.
Prima di accogliere l’epithymetikòn , Platone lo rifiutava cosi come respingeva dal suo Stato ideale musici e poeti, manifestazione di una natura ribelle.
Questi dovevano essere espulsi dalla città, perché contrari alle regole della logica, poi, però, Platone si ravvede, dopo un po’ afferma che la poesia e la musica sono più belle della ragione e che hanno una funzione essenziale per la salute fisica e morale dei guardiani (i guerrieri) e che lo stato stesso deve concentrare su di esse la massima attenzione.
Ciò che è il contrasto tra logistikòn (razionalità) ed epithymetikòn (creatività) è stato al centro delle più importanti riflessioni dell’uomo.
Ma cosa è, però, la creatività?
La creatività sembra un termine un po’ vuoto soprattutto se si pensa che in natura nella si crea, nulla si distrugge e, quindi, tutto si trasforma.
Anche se “creatività” non abbia un contenuto molto preciso, è una parola, però, molto diffusa.
Indica, in genere, il pensare in modo diverso e cioè risolvere in modo originale i problemi, esprimersi e atteggiarsi in modo nuovo e fuori dal comune.
La creatività richiama una forma di intelligenza, che i cognitivisti chiamano divergente, ossia opposta da convergente.
L’intelligenza convergente risolve i problemi cercando la soluzione all’interno del problema, quella divergente, che è l’opposto, al di fuori del problema.
A scuola si favorisce, ad esempio, l’intelligenza convergente, per questo i creativi di solito non vanno molto bene a scuola, hanno, insomma, una intelligenza non conforme.
Per Freud la creatività è connessa alla perversione, l’uomo creativo misconosce le differenze, come ,ad esempio, i sadici e i masochisti che non conoscono la differenza tra piacere e sofferenza.
La perversione è alla base di un pensiero che “non va per il verso giusto”, e per verso intendo direzione.
Se questa direzione vien lasciata alle pulsioni emerge la creatività.
Sia cognitivismo che psicoanalisi parlano perciò di questo stato che è improntato dal misconoscimento delle differenze istituite dalla ragione.
Quando nasciamo, e finchè non arriviamo all’età della ragione, ci comportiamo in modo indifferenziato, un bambino infatti può usare un succhiotto e per succhiare e per usarlo come arma per minacciare il proprio fratello.
La ragione non è la verità, è solo un codice che fissa i significati delle cose, o meglio un codice condiviso che stabilisce cosa è ciascuna cosa.
Anche nella poesia, come nel mondo infantile, il poeta fa oscillare il significato delle cose, Leopardi parlava con la luna come se fosse una donna chiedendole cosa facesse in cielo, la luna nella poesia di Leopardi non è un satellite ma una donna con la quale confidarsi.
Dal punto di vista della razionalità che senso avrebbe chiedere alla luna cosa facesse in cielo? Anzi sembrerei un matto se lo facessi.
Dal punto di vista della poesia il senso c’è ed è anche forte.
La poesia associa i significati, e per questo è creatività, i significati contaminati sono tipici della follia, per i folli, infatti, una cosa non è sempre quella e allo stesso tempo non è nessun altra, per questo i loro comportamenti diventano titubanti.
La creatività ha le sue radici nella follia, ossia nello scenario indifferenziato, in un mondo dove i significati sono contaminati ed i comportamenti diventano incerti e poco decifrabili.
Noi esseri umani abbiamo paura dell’indecifrabile, noi uomini attraverso i miti e poi i riti e poi la logica abbiamo cercato di chiarire l’indecifrabile che, però, a sua volta ci provoca ansia.
Per questo Platone diceva che i poeti dovevano essere espulsi dalla città, perché impediscono la logica, la razionalità e, quindi, la certezza dei significati delle cose.
Poi però il filosofo si corregge ed afferma che la poesia è molto più bella della ragione, e che è qualcosa di divino.
Pochi giorni fa ho avuto il piacere di assistere ad una lectio magistralis del professor Umberto Galimberti che ha individuato due ordini di follia , un ordine “secondario”, che vede la follia come trasgressione delle regole della ragione, ed un ordine “primario”, una follia come status originario, che ha spinto l’uomo a dare vita alla ragione, per dominare questa follia.
Ed inventando la ragione è nata la follia secondaria per contrastare la ragione.
Kant diceva la ragione è un’isola piccolissima nello sfondo dell’irrazionalità,
così per essere artisti e poeti bisogna scendere in questo scenario folle ed indifferenziato, ma per farlo occorre una disciplina, perché è necessario poi riemergere altrimenti se ne resterebbe catturati.
È proprio questa disciplina, necessaria per riemergere, che distingue la creatività dalla spontaneità, la quale non è disciplinata.
Socrate aveva un “demone” dentro di sé, gli permetteva di lasciare il luogo della ragione e dell’io per andare altrove, e da lì a sua volta riemergere.
Era un demone che creava entusiasmo e tutti i poeti ed artisti sono entusiasti, non parlano di sé ma di un dio che parla dentro di loro.
Ecco perché creatività è connessa ad entusiasmo, ossia ciò che i greci intendevano per “dio che parla dentro di te”.
Per gli antichi gli uomini fondano la ragione per salvarsi dall’indifferenziato, che era antecedente ed era luogo degli dei.
La ragione era necessaria per convivere, ma non per essere artisti.
Folle è lo scenario antecedente alla ragione che ci difende da ciò che eravamo prima, ossia folli.

In effetti, al nostro interno siamo irrazionali, ad esempio quando dialoghiamo con noi stessi, mentre quando siamo insieme agli altri questa parte non la rendiamo pubblica, e ci produciamo razionali.

Abbiamo due dimensioni, quella singolare (io)  irrazionale; quella plurale (noi)  razionali.

 Esiste anche la dimensione duale (io e te)  di nuovo irrazionale, l’amore è mettere insieme le nostre due

follie, e capirsi, in amore non ci si intende in modo razionale, l’amore è potente e folle.

Un esempio, ogni mattina ci svegliamo venendo dai sogni, il luogo dell’indifferenziato. In un sogno posso essere contemporaneamente grande e piccolo, al corso di Salerno e a New York, i sogni rompono tutte le regole della ragione, pertanto sono follia.

 E dopo un sogno, una volta svegli, ci vuole tempo per recuperare la razionalità, ecco perché al mattino compiamo molti rituali, per aiutarci nel passaggio.

Freud dirige la sua teoria psicoanalitica indirizzandola verso il complesso di Edipo, riferendosi alla tragedia di Sofocle. Uccidere il padre e sposare la madre. Per Freud questo accade verso i 4 e i 5 anni, alle soglie dell’età della ragione, intendendo che puoi avere uno sviluppo psichico uscendo dall’indifferenziato, apprendendo la differenza tra madre e moglie, tra padre e nemico.

Edipo infatti non distingue le differenze, confonde (misconosce le differenze) e quando viene a sapere la verità si acceca, dopo di che continua a non vedere le differenze (perché cieco) e resta nell’indifferenziato.

La follia non è una cosa in cui si cade, perché da lì veniamo, dopo diventiamo capaci di razionalità e ci restiamo attaccati, e quando non ce la facciamo più là ritorniamo. Anche i vecchi ritornano bambini, cioè folli. Non ha niente a che vedere con un raptus, è una follia sottostante, che è anche il fondo della

nostra creatività.

Anche nella cultura ebraica, Dio ordina ad Abramo di uccidere il figlio, perché gli dei non rispettano le regole, e la dimensione religiosa si raggiunge superando le regole della ragione, arrivando all’assurdo.

Lì incontri il Dio che vive nella follia, in quanto la ragione è un evento umano, il Dio  che non è ragionevole, è imprevedibile, porta disordine, è distruttivo. Giobbe, ancora, cerca di fare ragionare Dio. È un uomo giusto, ma gliene capitano di ogni sorta, la moglie lo abbandona, gli amici lo giudicano male e lui certo non lo merita. Ne chiede il perché a Dio, come mai, cerca di farlo ragionare. La risposta è tremenda, dov’eri,

dice Dio, quando io creavo la terra? È come dire, ma che domande mi fai, di cosa ti lamenti, della moglie, dei tuoi amici, con me? Dio non sta nella ragione, anche in questa cultura, lontanissima da quella greca, Dio sta nella follia.

La creatività significa scendere nella follia, e riemergere. Ma la riemersione non è garantita.

Carl  Gustav Jung, che era psicotico e che per questo era stato un ottimo terapeuta, diceva ai suoi allievi: anche se vedete dov’è il male, non tutte le porte vanno aperte, perché il paziente potrebbe non riemergere più.

La ragione non crea niente, inventa solo regole. L’artista rischia, sacrifica se stesso e la sua vita, la parola sacrificio ha una parentela con la parola sacro, legato come vedevamo a differenziato.

Bisognerebbe avere una certa familiarità con la propria follia, perché da lì nasce il nuovo. C’è un altro che parla dentro di noi, che andrebbe ascoltato. I poeti sono ascoltatori di un “esso” che parla dentro di loro. Non è solo la base della nostra creatività, ma anche della nostra specificità, in fin dei conti siamo tutti uguali nella razionalità, mentre nella irrazionalità siamo davvero diversi.

E poi l’amore, contaminazione tra due follie, e in queste potersi intendere.

 

Domenico Fauceglia

Epistème © 2010
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